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A colloquio con Mustafa Cagrici, Gran Muftì di Istanbul

Articolo a cura di Anderson A. Lima, pubblicato dal quotidiano Europa giovedì 7 ottobre 2010.

Un breve lancio d’agenzia mi informa che proprio dove mi trovo, all’incontro per il dialogo interreligioso promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, il Gran Muftì di Istanbul ha detto che purtroppo nel mondo islamico non c’è pieno rispetto dei diritti umani. Lo cerco, lo trovo, e grazie alla cortesia del professor Oktem, un autorevole studioso di sociologia delle religioni che lo accompagna a Barcellona, come relatore a una delle tavole rotonde ma anche in vista dell’importante discorso che terrà in Vaticano per i cinquant’anni delle relazioni diplomatiche bilaterali tra Città del Vaticano e Ankara, ho con loro un’interessantissima discussione. Il Gran Muftì di Istanbul, Mustafa Cagrici, come tutti i mufti è un’autorità religiosa di nomina politico-governativa, dunque parla certamente a titolo personale, ma come può farlo un pubblico ufficiale, diciamo. E la prima cosa che gli chiedo è proprio di chiarirmi il suo punto di vista sui diritti umani, dal momento che uno dei principali ostacoli al dialogo, o alla volontà stessa di coesistere al momento che uno dei principali ostacoli al dialogo, o alla volontà stessa di coesistere con i musulmani, è proprio il problema dei diritti umani.

«Il presidente della Comunità di Sant’Egidio ha detto che il fine del dialogo è fare del mondo la casa comune e non l’albergo dove risiedono tutte le culture, ognuna nella sua stanza. Ma quello che molti, in modo esplicito o implicito, si chiedono, è come costruire una casa comune con chi non sembra disposto a riconoscere i diritti umani così come noi li concepiamo.»

«Non bisogna farsi impressionare dai nemici del dialogo, ci sono sempre stati, ci saranno sempre. Ma le religioni, o meglio gli uomini che appartengono alle diverse religioni, hanno sempre dialogato, anche nei tempi più difficili e più bui. Oggi poi non solo il futuro ma anche il presente è dalla parte di chi crede nel dialogo, perché il mondo globalizzato è diventato troppo piccolo, come il villaggio di McLuhan, tanto che è impossibile resistere o sottrarsi al dialogo, alla civiltà del convivere. La base per convivere ovviamente sono i diritti umani, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali così come sono state codificate in Occidente. Purtroppo queste libertà fondamentali, la libertà di pensiero, la libertà religiosa, la libertà di espressione e così via, nelle società orientali, islamiche, non sono sempre rispettate, impossibile negarlo. Ma i diritti codificati dalla Carta dei diritti dell’uomo nascono dal pensiero dei tre monoteismi, dal Vecchio Testamento, dal Nuovo Testamento e dal Corano. Mi lasci fare un esempio: voi conoscete certamente Vecchio e Nuovo Testamento, meno il Corano, dove è detto espressamente detto che non può esservi costrizione nella fede. È certamente per questo motivo che quando il Califfo Omar conquistò Gerusalemme riconobbe ai non musulmani tutti i diritti. Se a Gerusalemme ci sono stati problemi di rispetto dei diritti umani questo non è imputabile a Omar, piuttosto ai crociati. Oggi però ci sono dei problemi politici che prevengono il rispetto dei diritti umani, dunque bisogna risolvere questi problemi politici per arrivare al rispetto dei diritti umani nelle società orientali. Ma non c’è un problema religioso».

Il Gran Muftì si incammina, deve intervenire a una delle tavole rotonde e mi saluta. Rimango con il professor Oktem. Che quasi prosegue il discorso accennato dal gran mufti di Istanbul.

«La Turchia ha molto da offrire al dialogo e al futuro del Mediterraneo. È la sua natura di ponte, è il suo essere diversi ponti contemporaneamente, che glielo impone e glielo consente. E il contributo che la Turchia può offrire è principalmente quello di esprimere un pensiero diverso da quello khomeinista e da quello wahhabita-saudita. La crescita economica turca rende questo pensiero non marginale. Proprio qui, a Barcellona, un delegato marocchino mi ha detto che segue come si fa con una speranza le iniziative e le riforme politiche turche, e poi ha aggiunto che la sua cucina è turca, il letto che ha comprato recentemente è turco...Iniziativa politica ed economica fanno della Turchia un fattore di novità, dinamico».

Ma in quale direzione va questa innovazione?

«L’islam turco non può che essere diverso da quello oggi prevalente, innanzitutto per la storia turca e ottomana. L’impero ottomano non è nato dal nulla, ma sovrapponendosi a quello bizantino, dal quale ha preso non solo mura, ma anche corpi giuridici, codici e sistemi amministrativi. Questo è molto importante per capire la propensione ad un’altra interpretazione religiosa. Vede, nel Corano ci sono 6666 versetti, di questi solo il venti per cento si occupa di leggi, di norme. Ma bisogna vedere come li vogliamo leggere, questi versi normativi.

L’idea di chi crede giusto tagliare una mano a chi ruba forse può rispettare la lettera di qualche versetto, ma tradisce lo spirito del Libro Sacro, che è certamente quello di fare il giusto. “Il giusto”, però, è una categoria che cambia col cambiare dei tempi e della capacità dell’uomo di capire cosa sia “il giusto”. Ora, una visione statica è innaturale per l’Islam turco, per via degli intrecci giuridici del passato, per via della storia e per via della geografia. Lei si chiederà, c’è un fondamento teologico a una interpretazione islamica diversa da quella affermatasi in Iran da una parte e in Arabia saudita dall’altra? Certo che c’è! Maometto non era come Gesù: Gesù per i cristiani è Dio, con tutto quel che ne consegue. Maometto no, è un uomo, che però ha ricevuto la parola di Dio». Questa differenza è fondamentale per distinguere, per dividere il contingente dall’eternamente valido, l’umano dal divino. Se si parte da qui è più facile di quanto sembri ritrovare i valori comuni. «A me sembra che la Turchia oggi sia la vera speranza per chi vuole costruire la casa comune e non l’albergo delle culture».

 
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