Intervento pubblicato su Il Mattino di Padova, martedì 12 febbraio 2008, pp. 1 e 8, con il titolo: SPESA PUBBLICA DA RIDURRE
La casta e la spesa pubblicaPromemoria per il futuro governo, quale che sia: ridurre la spesa pubblica! E’ tema meno appariscente della legge elettorale ma non meno importante per le sorti del Paese e certamente non meno difficile, tanto da richiedere una vasta concordia. Temo che ci sia al riguardo una sottovalutazione: basta eliminare gli sprechi, si usa dire. Da questo punto di vista anche il benemerito libro di Rizzo e Stella sulla casta politica rischia di generare un pericoloso transfer psicologico che scarica sulla casta i problemi della spesa pubblica. Eliminare i privilegi e gli sprechi della classe politica fa bene ai fini del risparmio oltre che del risanamento etico del Paese. Ma il tema della spesa pubblica – spendere meno e spendere meglio – tocca molto più in profondità ed estensione la struttura dello Stato, i rapporti tra istituzioni e mercati, il pubblico impiego e quindi la vita di milioni di famiglie. Ne consegue che la ricetta è molto difficile da elaborare e molto ardua da applicare. Nel quinquennio del Governo Berlusconi, per esempio, la spesa pubblica è aumentata nonostante tutti i proclami sullo “Stato leggero” e sulla liberazione del sistema economico dal peso della burocrazia. L’economista Siniscalco, nell’intermezzo in cui resse il Ministero dell’Economia tra il primo e il secondo Tremonti, adottò una regola importata dall’Inghilterra che imponeva a ogni Ministro di tagliare del 2% annuo le spese del proprio dicastero, ma ottenne solo un risibile rinvio di breve durata della spesa. Sorte migliore, ma sicuramente sotto le speranze, ha avuto la manovra del Ministro Padoa Schioppa con la Finanziaria 2007, che chiedeva ai Ministri di proporre riduzioni o miglioramenti di spesa su una quota di fondi assegnata ma temporaneamente bloccata. Sul fronte specifico del pubblico impiego, voce determinante per la spesa complessiva e per il funzionamento dello Stato, gli interventi del passato sono stati peggio che inutili, sono stati dannosi. Il blocco delle assunzioni ha originato un insieme scoordinato di deroghe e un vasto ricorso al precariato. Ma ora i precari premono per essere assunti in ruolo, nella migliore delle ipotesi mediante concorsi riservati o con forti agevolazioni, che minano di fatto il principio costituzionale dell’accesso al pubblico impiego attraverso concorso. Ancora peggio il blocco degli stipendi, aggirato da una pratica diffusa di promozioni che non solo ha annullato il risparmio finanziario atteso ma ha anche e soprattutto sconvolto la struttura degli uffici, generando un’incoerenza organizzativa che richiederà anni per essere sanata. Quando poi si passa dai grandi aggregati di spesa all’analisi dei singoli Ministeri, la situazione appare affrontabile solo con interventi chirurgici, sia pure stemperati da adeguati periodi transitori: troppe guardie carcerarie, troppi insegnanti, troppi tribunali, oltretutto con risultati spesso insoddisfacenti (siamo in coda alle graduatorie internazionali per la preparazione didattica dei nostri quindicenni e per i tempi della giustizia civile) E che dire della spesa in periferia? E’ illuminante il caso delle Province. A torto o a ragione, la maggioranza degli italiani è favorevole alla loro abolizione. E tuttavia le Province sono aumentate e non diminuite di numero; e sono aumentare con voti palesi in Parlamento. Segno che, ogni volta, la piccola lobby che sosteneva una nuova Provincia ha ottenuto il consenso di un numero sufficiente di parlamentari, ovviamente con impegno di ricambiare. E’ l’ennesima prova del paradosso dei nostri atteggiamenti politici che ci fanno invocare a gran voce le regole ma solo per gli altri. In questa situazione, riuscire a diminuire il livello della spesa pubblica e aumentarne la qualità rischia di apparire allo stesso tempo indispensabile e impossibile. Come uscirne? Da alcuni mesi è in attività la Commissione tecnica per la finanza pubblica, che ha pubblicato il Libro verde sulla spesa pubblica, con la denuncia di tante cose che non vanno, e un “Rapporto intermedio” con le prime ricette per “spendere meno e spendere meglio”. Da presidente della Commissione, le ritengo proposte valide. Ma la rete di interessi colpiti appare così vasta e potente (e spesso rispettabile, dato che sulle regole vigenti, buone o cattive che siano, molti dipendenti pubblici hanno fatto le loro scelte di vita) da vanificare ogni tentativo che non sia sostenuto da una vasta e ferma adesione dell’opinione pubblica e delle forze politiche. In conclusione, servono buone idee ma serve anche e soprattutto una larga intesa su alcune linee fondamentali di riforma dell’apparato pubblico. Prof. Gilberto Muraro Padova, 05.02.2008 |