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Révolution all'università PDF

In Francia è in atto una grandiosa mobilitazione di risorse finanziarie e umane per rilanciare dieci atenei di eccellenza. Un esempio da seguire.

 

Lettera da Parigi, Carlo Ossola.

È giunto a compimento in questi mesi in Francia un processo di rinnovamento delle Università che vede, da parte dello Stato, un investimento di 10 miliardi di euro in 5 anni al fine di adeguare 10 campus universitari (1 miliardo per ogni campus) alle sfide scientifiche del XXI secolo. Il progetto fu lanciato da Dominique de Villepin nel febbraio 2007 e, nonostante il cambio di Presidenza e il pessimo rapporto tra Villepin e il nuovo Presidente, lo Stato ha mostrato una efficace continuità, sì che l'11 luglio 2008, il Ministro alle Università e alla Ricerca del nuovo governo, Valérie Pécresse, ha potuto annunciare i dieci siti selezionati da un comitato internazionale di 8 personalità (in cui siedono un prefetto emerito, un fisico, un astrofisico, un economista, un rettore di università americana, un rettore di università canadese, il rettore emerito del Collège de France, il Direttore generale di Accor). In soli due anni il processo: le sedi si sono candidate con una impressionante mobilitazione di docenti, urbanisti, autorità regionali, municipali, prefetture; il Comitato ha vagliato la qualità dei progetti e l'integrazione con la ricerca di eccellenza esistente, da un lato, e dall'altro con parametri di sviluppo fissati con rigore: riqualificazione del patrimonio universitario e urbanistico, sviluppo della ricerca e della Regione, integrazione urbana della vita universitaria (alloggi per studenti, trasporti rapidi, attività culturale e sportiva). Le sedi scelte sono: Aix-Marseille, Strasburgo, Lyon, Bordeaux, Grenoble, Montpellier, Toulouse, Saclay, Paris-Aubervilliers, Paris intramuros. Come si vede, non c'è stata affatto "spalmatura" geopolitica : il sud-ovest ha visto premiare, per la qualità del progetto, tre campus (Montpellier, Toulouse, Bordeaux) il nord-ovest nessuno. Parigi ne esce smagrita e con un campus innovativo collocato – con un ardito progetto urbanistico e di ricerca – in una delle banlieues più povere e più vive di sperimentazione sociale: Aubervilliers. Piccola chiosa: la Commissione interagisce con Ministero, Regioni, Comuni interessati da ogni singolo campus, Atenei in questione, comunità locali: organismi decisionali sufficienti da noi per richiedere due anni per la sola prima convocazione plenaria.
Altra piccola chiosa: la Francia ha ottenuto i 10 miliardi di euro per la metà con la cessione, da parte dello Stato, del 3% di Edf (la loro Enel) e per l'altra metà con stanziamenti sul bilancio ordinario dello Stato (un miliardo l'anno per i 5 anni del progetto complessivo). Ultima chiosa: dello Stato e dei suoi servitori. Pécresse, Valérie, classe 1967. Brillanti studi all'Ena (École nationale d'administration). Dal 1992 al 1998 insegna Diritto costituzionale all'Istituto di Studi Politici di Parigi. Consigliere poi della Presidenza della Repubblica, dal 2002 è deputato. Dal 2007 Ministro della Ricerca. Inutili i confronti.
Basta questo modesto esempio per misurare la gravità dello stato di coma profondo dell'Università in Italia: senza allarmismi, per pura contabilità, si può osservare che l'Università nel nostro Paese è già – rispetto ai parametri della competizione scientifica internazionale – morta. Non tiene il passo: l'indebitamento degli Atenei è tale che è impossibile fare investimenti sufficienti a rinnovare laboratori e centri di ricerca a un livello pari ai concorrenti europei, americani, asiatici. I giovani studiosi emigrano, i migliori non tornano. Lo Stato non investe nella qualità, ma moltiplica i piccoli feudi: nuove sedi che non si possono neanche chiamare università, ma che dirottano risorse dai soli grandi Atenei che hanno biblioteche, centri di ricerca, tradizione. Lo Stato, del resto, non fa che imitare i propri professori che, come in tutte le comunità marginali, si chiudono riproducendosi (letteralmente) per endogamia: si sa che cosa ne viene fuori biologicamente.
Dubito che sia possibile individuare rimedi per "via interna" e probabilmente non resta che sperare in una più rapida integrazione europea dove i nostri nipoti possano trovare, da cittadini europei, quello che non trovano più in Italia.
Ma se qualche rimedio esistesse, interno, esso non potrebbe essere che drastico e doloroso: chiusura degli atenei inutili (cioè non forniti di laboratori scientifici adeguati e di biblioteche con almeno qualche milione di volumi): rispetto ai parametri internazionali oggi in Italia non si possono salvare e rilanciare più di 10-12 grandi Atenei.
Investimenti, solleciti, dell'ordine di quello prodotto dalla Francia (ma noi vendiamo debiti: cosa si finanzia vendendo Alitalia?); commissioni internazionali non pletoriche (in Francia sono bastati 8 saggi per destinare 10 miliardi di euro) per la selezione dei progetti.
E decenza nel reclutamento: in certe discipline oggi neanche con 100 miliardi di euro si riuscirebbe a far fare un passo al sapere, per la consolidata prassi (definita da F&L) della "prevalenza del cretino". Questo è il punto più doloroso e umiliante per l'Università, che si riverbera sul futuro delle generazioni. Neanche le numerose inchieste giudiziarie sono riuscite a fermare la consolidata prassi (in tutte le Facoltà e discipline e sedi) che consiste nel bandire un posto solo quando si è certi di far passare il "proprio" candidato. E poi il favore andrà restituito, e via seguitando. Si possono commissariare gli appalti, ma come si fa a "commissariare le coscienze"?
Privatizzare le Università? Bisognerebbe, anche lì, essere attivi con quello statuto, con quei capitali, lasciti, reinvestimenti, da secoli, come Oxford, Cambridge o le principali Università americane. Farlo ora (e, di più, con un capitale privato in Italia che ha continuamente bisogno di essere assistito dallo Stato) è solo voltarsi sull'altro lato del letto di Procuste.

E così, da incoscienti, si muore. Senza neanche il riscatto della tragedia: strapparci gli occhi, come Edipo, per non vedere la fine. Bisognerebbe aver educato figli che ci portino, come Antigone, a Colono: ma qui comincia l'altra tragedia, quella della scuola elementare, media, superiore...

(Carlo Ossola per Domenica del Sole 24 Ore, 19 ottobre 2008)

 
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